Si è svolto a Bologna, Giovedì 13 Luglio, l’incontro dal titolo “Le città per l’economia sociale. Per un futuro giusto e sostenibile”, un’iniziativa alla quale hanno partecipato tra gli altri, il sindaco metropolitano Matteo Lepore, l’Arcivescovo Matteo Zuppi, l’Assessore al Lavoro e Sviluppo Economico della Regione Emilia-Romagna Vincenzo Colla, diversi rappresentanti di autorità internazionali come le Nazioni Unite, la Commissione europea, l’OCSE, la Ministra spagnola del Lavoro e dell’Economia sociale Yolanda Diaz, alcune città italiane come Torino, Trento, Napoli e alcune europee come Braga e Bordeaux, i rappresentanti del settore sociale vertici delle organizzazioni di rappresentanza nazionale di Legacoop, Confcooperative, Agci e del Forum Terzo settore.
Nel corso della tavola rotonda tra i tre rappresentanti delle Centrali Cooperative e la portavoce del Forum Terzo Settore è intervenuto Emanuele Monaci, Vice Presidente Vicario di Agci Imprese Sociali.
“L’attenzione verso l’economia sociale sta sempre più crescendo. Poche settimane fa, alle già numerose iniziative internazionali, si è aggiunta la Risoluzione delle Nazioni Unite sull’Economia Sociale e Solidale e la proposta della Commissione Europea di Raccomandazione al Consiglio Europeo verso gli Stati membri, dove ogni Paese viene incoraggiato ad adottare una strategia nazionale per l’economia sociale nell’arco di 18 mesi.
La motivazione di questa attenzione sta nel riconoscimento che l’economia sociale, avendo come motore della propria attività il dare risposta ai bisogni ed aspirazioni sociali attraverso pratiche inclusive e partecipative, può dare un contributo sostanziale alla trasformazione dell’attuale modello di sviluppo.
L’economia sociale è un approccio economico che combina obiettivi sociali con attività commerciali. Si tratta di un modello economico basato sulla cooperazione, la solidarietà e l’inclusione sociale. In generale, l’obiettivo principale dell’economia sociale è quello di creare valore per la società nel suo complesso, piuttosto che concentrarsi esclusivamente sul profitto..
L’economia sociale può contribuire alla costruzione di un’economia più inclusiva e sostenibile, poiché mette al centro le persone e le loro esigenze, piuttosto che perseguire esclusivamente il massimo profitto. Ma tale modello non deve essere necessariamente visto in contrapposizione con il modello economico tradizionale, bensì come un sistema di principi di indirizzo che devono orientare e integrarsi con il sistema economico attuale.
Una politica di sviluppo dell’economia sociale può includere diverse strategie e azioni mirate a promuovere e sostenere il settore dell’economia sociale.
Da un lato si possono prevedere politiche e regolamentazioni specifiche per agevolarne lo sviluppo, in particolare penso a forme di incentivi fiscali, finanziamenti agevolati, microcredito, l’istituzione di fondi specifici per l’economia sociale o l’accesso agevolato a finanziamenti pubblici e privati.
Si può promuovere la creazione di incubatori e acceleratori specifici per le organizzazioni dell’economia sociale. Questi possono offrire supporto nell’avvio e nella crescita delle imprese sociali, fornendo servizi come consulenza, mentoring, spazi di lavoro condivisi e accesso a reti di contatti.
E’ basilare però può promuovere la collaborazione tra il settore pubblico, privato e dell’economia sociale. Ciò può includere partnership tra organizzazioni sociali e imprese tradizionali, promuovendo modelli di economia mista e catene del valore socialmente responsabili.
Se queste sono le azioni da mettere in campo, occorre però soffermarsi su un paio di temi cruciali, perché parlare di economia sociale senza leggere gli scenari demografici non ha senso. Occorre tenere insieme temi diversi: le giovani generazioni, il coinvolgimento degli attori sul territorio, la crescita della popolazione anziana.
In Italia il fenomeno demografico più grave è la fortissima caduta della natalità, iniziata da tempo e aggravatasi negli ultimi anni. Nel 2022 si è registrato il minimo storico delle nascite (392.598). Nello stesso anno i maturandi sono stati 530.000.
La conseguenza più evidente delle tendenze demografiche in atto è una profonda modifica della composizione per età della popolazione. Fra il 2002 e il 2022 in Italia i giovani fino a 14 anni sono infatti calati di oltre 607.000 unità, mentre le persone da 65 anni in su sono aumentate di oltre 3.388.000 unità.
Per attuare un modello di economia sociale che si rivolga alle giovani generazioni occorre prima di tutto parlare il loro linguaggio, ovvero occorre spiegare con parole semplici e un linguaggio accattivante concetti complessi, altrimenti si rischia di alimentare una barriera culturale prima ancora che linguistica
Il secondo è coinvolgere i giovani nella costruzione di un modello di economia sociale condiviso, non creato ad hoc e calato dall’alto.
In Italia secondo l’ISTAT abbiamo circa 23% di neet, cioè,persone che non studiano e non lavorano proprio perché non hanno più fiducia nel sistema! O forse non trovano un motivo che ritengono interessante per spendersi in prima persona.
Se da un lato le giovani generazioni hanno a cuore il tema della sostenibilità ambientale, dall’altro si sono affievoliti quei valori etici solidaristici che portavano tanti giovani a lavorare nel sociale e nella cura delle persone. Dato che come sappiamo la popolazione anziana è aumentata solo nell’ultimo anno di quasi 3 milioni e mezzo, è evidente che,se non coinvolgiamo i giovani e le nuove generazioni di immigrati (le cosiddette seconde generazioni) all’interno di questo tessuto dell’economia sociale difficilmente riusciremo a ottenere dei risultati
Le policy che le associazioni della cooperazione e il comune, la regione e il governo devono costruire devono andare nella direzione di dire che esiste ancora la capacità di avere degli ascensori sociali, di creale la condizione perché Formazione e sviluppo delle competenze di un territorio vadano di pari passo con la Partecipazione al processo decisionale… non possiamo parlare di partecipazione al sistema se i giovani sono quelli che non vanno a votare e pensano che l’emigrazione sia l’unica soluzione possibile per essere riconosciuti!
La sfida vera è il patto intergenerazionale per creare una speranza per il futuro, una prospettiva tangibile e non meramente teorica. Creare un modello che funga da ascensore sociali per i giovani, un po’ come avveniva all’interno delle cooperative quando si partiva dal basso ma potevi ambire a diventare un ruolo chiave o apicale della cooperativa.
In conclusione, per rendere meglio l’idea, vorrei citare il film della regista e scrittrice Lina Wertmüller che ha rappresentato quello che non deve essere l’idea dei giovani… e cioè “e io… speriamo che me la cavo”. Il nostro dovere è ridare alle giovani generazioni speranza e fiducia in futuro migliore perché ancorato a principi e valori solidaristici, inclusivi e partecipativi.”